Il Palazzo Marinoni Barca sorge a lato della piazzetta B. Giovanni Marinoni, con prolungamento fin sulla via Clara Maffei, dove è posto l’ingresso al parco che lo fiancheggia.
Seicentesca residenza, realizzata mediante ampliamento di una più antica, interessante sia dal punto di vista estetico, sia da quello storico. Singolare l’aspetto architettonico, soprattutto se osservato da via Clara Maffei. Severe arcate che immettono negli ex locali della cucina, dispensa e scuderia, sostengono due piani fortemente caratterizzati: su un lato, da una galleria lignea esterna; sull’altro, da una loggia incorporata con archi e colonne di pietra. Un maestoso portale, a forma di arco di trionfo, fa da ingresso al parco, dove tre sequoie giganti attirano immediatamente l’attenzione dei passanti.
Fu l’ultima residenza dei Marinoni, antica famiglia presente a Clusone, con un ruolo importante, fin dal secolo XIV.
Lungo i secoli questo casato ha dato alla comunità filantropi, studiosi, diplomatici e religiosi; tra i quali: Severino Marinoni, «Oratore della Valle Seriana» nel 1427 presso il Duca Filippo Maria Visconti, e il sacerdote Beato Giovanni Marinoni (1490-1562), associato nell’itinerario spirituale ed apostolico a S. Gaetano Thiene. Successivamente vi abitò un ramo della famiglia Barca di Bergamo, da quando il nobile Giovanni Battista, sposata la contessa Maria Candida figlia del conte Giuseppe Carrara Spinelli e di Lucia Vittoria Marinoni, venne a stabilirsi a Clusone, prendendo possesso dei beni della famiglia Marinoni ereditati dalla moglie. I Barca conservarono nel palazzo i segni e i richiami della famiglia Marinoni; soltanto posero il loro stemma sull’arco del portale d’ingresso al parco.
A partire dal secondo decennio del novecento, negli ultimi tempi della loro permanenza, purtroppo dispersero l’arredamento e con esso alienarono: le due grandi tele (cm. 415×224 ciascuna) con le storie di Cambise, che Antonio Cifrondi aveva dipinto per il salone maggiore (attualmente esposte nella sede del centro culturale «II Conventino» a Bergamo); il ritratto del prete Pietro Marinoni, uno dei più riusciti di A. Cifrondi (ora collocato a Brescia in una raccolta privata); altri ritratti di membri della famiglia Marinoni e una serie di tele di vario genere.
Tutto il complesso edilizio fu acquisito dalla Congregazione di Carità, dove fissò i suoi uffici e i suoi archivi. In un’ala, con quanto aveva ereditato a tale scopo dalla nobile famiglia Sant’Andrea, allestì un museo, che poi andò arricchendosi con altre donazioni; nell’altra, trovò modo di ospitare persone anziane bisognose di assistenza.
Il Salone d’Onore, con la sua monumentale Pietà di Palma il Giovane e i due maestosi teleri di Cifrondi, è un vero trionfo di arte e storia.
Caratterizzato dal grande camino marmoreo al centro del quale è lo stemma della famiglia Marinoni, è dominato dalla spettacolare volta interamente affrescata con una decorazione a trompe l’oeil che finge un illusionistico sfondamento dell’architettura dipinta verso il cielo aperto. Il monumentale affresco è opera di maestranze lombarde attive sul finire del XVII secolo, che ripropongono un modello di origine bresciana inaugurato nel Cinquecento dai fratelli Rosa e riproposti con molteplici varianti da imprese itineranti quali quelle di Pietro e Ottavio Viviani o di Tomaso Sandrini.
Al livello superiore, oltre una solenne ed elegante balaustra marmorea, quattro aperture ad arco si aprono su uno spicchio di cielo azzurro fiancheggiate da coppie di busti in finto bronzo di re e imperatori antichi posti su alti plinti marmorei.
Sedici mensoloni (quattro per lato) decorati con motivi fitomorfi sorreggono il soffitto “bucato” da un medaglione mistilineo aperto sul cielo. All’interno, una cornice riccamente decorata, in cui sono altre quattro cartouches con altrettanti nudi maschili e femminili recumbenti raffiguranti gli dei olimpici (uno di essi, con la falce di luna sul capo, è identificabile con Artemide), introduce all’apoteosi finale. La scena al centro della volta celeste costituisce un’ulteriore impresa e raffigura un’aquila che trattiene tra le zampe un falco impedendogli di uccidere una colomba, di cui ha già alcune penne tra gli artigli.
La Galleria di Palazzo Marinoni Barca ospita un ciclo di otto figure allegoriche di grande interesse, decorazioni originali tardo seicentesche. Gli affreschi, accompagnati da motti ed emblemi tipici del gusto letterario barocco, offrono una riflessione sui valori dell’etica laica, esaltando le virtù e condannando i vizi e i comportamenti scorretti e disonesti.
Le otto figure allegoriche sono disposte lungo le pareti laterali della Galleria, creando un suggestivo percorso visivo e concettuale. Sulla parete destra, troviamo le personificazioni dei quattro Vizi: Discordia, Spreco, Ozio e Frode. Sulla parete opposta, in contrapposizione, sono raffigurate le Virtù: Onestà, Carità, Pace e Ordine. Ogni figura è accompagnata da un’iscrizione in latino, che ne illustra le caratteristiche e il significato simbolico.
La sequenza dei Vizi sulla parete destra è introdotta da un’iscrizione dipinta al centro del fregio sotto il soffitto:
“LA DISCORDIA, IL SPRECAR, L’OTIO, L’INGAN PRECIPITAR LA ROBBA E L’ALMA FAN”
La sequenza delle figure va letta scorrendo la parete da destra a sinistra, verso la porta-finestra sullo sfondo della Galleria.
Discordia
Aeterna quoque
Tribuet mala.
Dà ancora eterno mali
La Discordia è rappresentata da una figura armata che impugna minacciosa una spada e stringe un fascio di bastoncini, simbolo dell’unità e della coesione, cui ha appiccato il fuoco. E’ in grado di provocare e mantenere danni, per esempio la rottura di un’amicizia o di un legame di solidarietà, per lungo tempo. Il mantice ai suoi piedi allude al fine ultimo della Discordia: soffiare sul fuoco di ogni più piccolo motivo di incomprensione.
Ozio
Satanae manicipium
Desiosus erit
Il dominio di Satana
Sarà ozioso
Un giovane ozioso, l’Ozio, è appoggiato ad un angolo in posa sonnolenta, con gli occhi chiusi e le braccia incrociate. Tiene nella destra un ramo fiorito, nella sinistra il bastone del viandante. Accanto alla sua testa, sulla sinistra, si nota una clessidra, simbolo del tempo che scorre inesorabile. Una lumaca indisturbata lentamente risale la gamba sinistra del giovane. Ai suoi piedi una famelica lupa divora il pasto in un tronco scavato. Il pigro sarà preda sicura di ogni nemico del Bene.
Spreco
Dilapsa re
Amicus nemo
Consumata la sostanza
Non resta un solo amico
La personificazione dello Spreco è raffigurata da una giovane donna elegantemente abbigliata che tiene i piedi sopra una trave spezzata. Ha gli occhi bendati, un’espressione vacua e sostiene una cornucopia da cui fuoriescono senza freno monete e gioielli, che si ammassano al suolo. Nella mano destra impugna una sorta di girandola. La dissipazione delle sostanze porta alla rovina e al vuoto di ogni amicizia.
Inganno
Iniuste dies
Estremo pauper
Ingiustamente ricco
In ultimo povero
La personificazione dell’Inganno è un mago-illusionista, un uomo barbuto vestito di verde con degli amuleti al collo e delle code di serpente al posto delle gambe, allusione alla sua personalità infida. Tra le mani tiene gli strumenti della sua arte basata sull’imbroglio e i trucchi ingannevoli. Nella fattispecie una civetta da richiamo sul piattello ed un panione (asta cosparsa di vischio per la cattura degli ignari uccelli) con cui i cacciatori traevano in inganno e catturavano i volatili. In basso a sinistra la sirena allude alle creature fantastiche, cioè alle panzane, di cui sono pieni i racconti degli imbroglioni. Il motto allude al fatto che chi arricchisce con l’inganno cade prima o poi nella miseria.